Continuiamo il nostro viaggio nella biodiversità per esplorarla sotto diversi punti di vista: oggi indagheremo i suoi rapporti con l'agricoltura.

Quel che vedo nella natura è una struttura magnifica che possiamo capire solo molto imperfettamente, il che non può non riempire di umiltà qualsiasi persona razionale.
(Albert Einstein)

Quando pensiamo all'agricoltura siamo abituati ad immaginarci distese di frumento o di mais. I più moderni penseranno anche a grandi campi di soia e di girasole. Insomma: l'immaginario collettivo abbina l'agricoltura alle monocolture.

Esempio di monocoltura e di agricoltura intensiva

Con la diffusione dei grandi macchinari agricoli, dei fertilizzanti di sintesi e dei pesticidi, negli ultimi decenni le tecniche di coltivazione intensive sono diventate dominanti nel paesaggio rurale, facendoci dimenticare e trascurare altre pratiche agricole. Nonostante siano più semplici da gestire, le colture uniche presentano numerosi problematiche, non solo per l'ambiente. In campi dove cresce un'unica specie e dove si tenta di eliminare tutti gli altri organismi, siano essi le "erbacce" vegetali o le "piaghe" animali, la biodiversità è bassa per definizione. Basta guardare gli uccelli. Perché l'avifauna è in cima alla piramide alimentare degli agro-ecosistemi e la sua sopravvivenza dipende dalla qualità degli habitat e dall'integrità e funzionalità di questi ambienti.
Dal 2000 a oggi, in Italia si è verificata una diminuzione della popolazione di uccelli tipici delle aree agricole di circa il 23%, con un trend significativamente peggiore (-45%) nelle pianure rispetto alle colline (-26%).

Quali sono i fattori che portano ad una perdita di biodiversità di questi coltivi?
Il primo che viene in mente sono certo i pesticidi, che limitano enormemente il numero di piante ed erbivori presenti e, di conseguenza, anche i loro predatori, che non trovano di che mangiare o vengono intossicati mangiando prede avvelenate.
Ma ci sono anche altri aspetti, forse meno famosi, che contribuiscono alla perdita di biodiversità. Sappiamo che la varietà di specie in un territorio dipende anche dalla varietà di ambienti presenti, e non si parla solo di montagne, boschi e praterie, ma anche di habitat di dimensioni più ridotte, come terrazzamenti, siepi, fossi o piccoli appezzamenti incolti. In alcune aree ancora oggi, per fortuna, si impiegano piante vistose e profumate per attrarre gli impollinatori tra i filari di viti. Questi elementi caratteristici del paesaggio offrono riparo a piante, insetti, rettili... Non solo! Contrastano l'erosione del suolo, aumentano la fertilità, migliorano la qualità dell'acqua e ne aumentano la quantità e mitigano localmente i cambiamenti climatici.

Esempio di muretto a secco, uno degli elementi caratteristici del paesaggio benefici per la biodiversità

Nella seconda metà del XX secolo i piccoli appezzamenti agricoli costellati da questi elementi sono stati convertiti in singole spianate omogenee e senza ostacoli fino all'orizzonte.

Non soltanto le specie spontanee, ma anche molte delle varietà coltivate dall'uomo nell'ultimo secolo sono scomparse dalle nostre campagne e dalle nostre tavole. Secondo il rapporto sullo stato delle risorse fitogenetiche per l'alimentazione e l'agricoltura il 96% delle 7098 varietà di mele documentate negli Stati Uniti all'inizio del Ventesimo secolo, l'85% delle varietà di cavoli, il 91% di quelle di granoturco, il 94% di quelle di piselli e l'81% di quelle di pomodori sono andate perdute.
La varietà di ambienti e di piante coltivate non è solo una questione spaziale, ma anche temporale. Anche le rotazioni colturali, in passato ampiamente utilizzate per ridurre l'erosione del suolo in inverno e per non impoverire il terreno, negli ultimi 70 anni sono state pian piano sostituite dalle monosuccessioni, dove si ripete sempre la stessa coltura.

Con l'intensificazione produttiva, i paesaggi caratterizzati da un mosaico di piccoli campi separati tra loro da alberi, arbusti, canali e muretti a secco sono gradualmente scomparsi in pianura e sono stati abbandonati in montagna, dove la produzione non è riuscita a reggere la concorrenza dei nuovi sistemi intensivi. Dei 170.000 ettari di aree terrazzate censite in Italia nel 2016, si stima che l'80% sia in stato di abbandono. Questo dato probabilmente è sottostimato soprattutto nelle aree montane, dove alberi e arbusti avanzano in continuazione ricoprendo prati, pascoli, frutteti e terreni precedentemente coltivati.

Esempio di terrazzamenti

Con le monocolture l'uomo ha pensato di velocizzare, semplificare e rendere più efficienti alcuni processi naturali. Ma come diceva Leonardo da Vinci "Ogni azione fatta dalla natura non si pò fare con più brieve modo co’ medesimi mezzi. Date le cause la natura partorisce li effetti per i più brievi modi che far si possa.". Se è vero che nel breve periodo l'uomo è riuscito ad aumentare la produttività di alcuni terreni, a lungo andare queste pratiche ne riducono la fertilità e si possono perpetuare solo a spese dell'ambiente e, di conseguenza, anche della salute umana. Perché la natura è infinitamente complessa. Anche quando si è convinti di aver compreso fino in fondo alcuni suoi processi e li si replica, cercando di ottimizzarli, si trascura sempre qualche elemento che impedisce di ottenere un equilibrio duraturo e sostenibile.

Come mantenere quindi la biodiversità pur continuando a coltivare i terreni e produrre gli alimenti per noi uomini?
Esistono pratiche agricole, vecchie e nuove, che permettono di coniugare il benessere dell'ambiente e un'alta biodiversità con la produzione alimentare. Le applicazioni possibili sono numerose, ma ci sono dei criteri comuni: ridurre l'impiego di pesticidi e di fertilizzanti di sintesi e mantenere una grande varietà di elementi caratteristici del paesaggio.
Un principio interessante è quello adottato nella permacultura. Invece di semplificare il sistema agricolo come nelle monocolture, la permacultura cerca di riprodurre la complessità degli ecosistemi naturali. Uno dei metodi adottati per aumentare la biodiversità è la coltivazione di numerose specie vegetali assieme.
Ciò comporta numerosi vantaggi. Ad esempio l'ammalarsi di una specie di pianta non è la fine del raccolto. E nei campi dove c'è una maggiore ricchezza di specie l'impollinazione è facilitata e gli insetti dannosi sono controllati da altri insetti antagonisti presenti "naturalmente". In un ecosistema con maggiore biodiversità, inoltre, anche la produttività è maggiore.

Esempio di un quartiere rurale dove sono stati applicati i principi della permacultura

E se, la prossima volte che chiederanno cosa ci viene in mente con la parola "agricoltura", iniziassimo a esercitare il mai proclamato diritto di sognare? Guarderemo al di là dell'infamia per indovinare un altro mondo possibile: l'uomo non lotterà contro la natura, tentando di sconfiggerla e sfruttarla, ma la asseconderà e ci collaborerà per raccoglierne i frutti.

Al prossimo appuntamento con la #rubricabiodiversità !

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