LA FERTILITÀ: DAL LETAME AL PETROLIO
Fino al 1840, citando l'Enciclopedia italiana del 1931, "le sole sostanze alle quali si attribuissero qualità fertilizzanti si riassumevano nello stallatico e in genere nelle materie escrementizie". Il primo grande passo che allontanò una fetta dell'agricoltura dalla concimazione col letame fu l'intuizione di Justus von Liebig. Egli tradusse a livello agronomico le scoperte del naturalista de Saussure, che aveva capito che le piante si nutrono di sostanze minerali prelevate dal suolo. Fu così che in quegli anni si svilupparono le industrie dei fertilizzanti e, con la chimica agraria, si iniziò a somministrare alle piante direttamente i sali inorganici di fosforo, potassio e azoto.
Il secondo grande passo fu fatto da Fritz Haber, che venne premiato con il Nobel per la Chimica del 1918 per la "sintesi dell'ammoniaca dai suoi elementi", conosciuto come processo Haber-Bosch, su cui si basa la produzione di buona parte dei fertilizzanti azotati.
Come dice Michael Pollan nel suo Il dilemma dell'onnivoro, "la fissazione chimica dell'azoto ha fatto sì che la catena alimentare voltasse le spalle alla ragione biologica e abbracciasse quella industriale. Anziché attingere esclusivamente alla fonte solare, l'umanità ha iniziato a bere i primi sorsi di petrolio."
IL COSTO DELLA FERTILITÀ SINTETICA
La fertilità che prima veniva mantenuta nel terreno con il letame del bestiame che mangiava l'erba, la rotazione delle colture e la coltivazione di specie diverse, da quel momento si poté comprare in negozio grazie ai combustibili fossili. Ma cosa c'entrano i combustibili fossili? Il processo Haber-Bosch vi è doppiamente legato: dovendo lavorare a temperature e pressioni colossali (350-550 °C e 140-320 atm), la reazione consuma quantità enormi di energia elettrica e l'idrogeno usato come reagente viene ricavato soprattutto dal gas naturale. Secondo il professor Yoshiaki Nishibayashi, dell'università di Tokyo, in tutto il mondo il processo Haber-Bosch consuma dal 3 al 5 percento del gas naturale e circa l'1 o il 2 percento dell'energia prodotti.

Fonte dell'immagine: Michael Trolove, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=14007675
Riprendendo nuovamente le parole di Pollan, "se sommiamo il gas naturale presente nel concime, il combustibile utilizzato nella fabbricazione di pesticidi, quello necessario per i trattori, per il raccolto, l'essiccazione e il trasporto, troviamo che un quintale di mais prodotto con metodi industriali consuma l'equivalente di 4-4,5 litri di petrolio. Detto in altro modo, per produrre una caloria alimentare ci vuole più di una caloria i combustibili fossili". Tale paradosso è possibile grazie a due fattori rendono queste pratiche economicamente redditizie: i sussidi pubblici all'agricoltura intensiva (che continuano ad essere votati), e la grande disponibilità a basso prezzo di combustibili fossili. Il consumo di queste risorse non rinnovabili, però, ipoteca il futuro delle prossime generazioni, sulle cui spalle ricadranno i costi delle attuali scelte.
IMMAGINARE
Un mondo dove gli alimenti vengono prodotti da piccoli agricoltori ed allevatori è economicamente irrealizzabile? Chiedere aziende all'interno delle quali i cicli biologici si chiudono, dove l'erba brucata al pascolo si converte in latte, formaggio, carne e letame per concimare i campi, gli orti e i pascoli dell'anno successivo è idealismo? Può darsi, ma è ancora più assurdo credere di poter continuare a consumare risorse finite e alterare sempre di più l'ambiente in cui viviamo. Tra le due utopie credo sia meglio andare in direzione di quella che permette all'Uomo di convivere in equilibrio con la Natura.
Forse non sappiamo ancora dove potremo arrivare, ma sarebbe ora di incamminarci nella direzione giusta.
Immagine di copertina tratta da: https://pixabay.com/it/photos/letame-carriola-carriole-rifiuti-2168726/